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Questa "Introduzione", alla quale seguiranno sette saggi, uno per ogni peccato capitale, raccolti in un'unica pubblicazione, si chiude con una domanda: il peccato è sempre un'offesa alla volontà divina? O, piuttosto, non è espressione della libertà dell'Uomo - del suo libero arbitrio - grazie alla quale, molto spesso violando i precetti della Divinità (talora rielaborati e reinterpretati dai suoi "rappresentanti" terreni) sono state possibili straordinarie conquiste di progresso e di civiltà? Conquiste che, seppure spesso accompagnate da barbarie e nefandezze di ogni genere, hanno comunque consentito alla nostra specie di sottrarsi alla volontà imperscrutabile, e quasi sempre crudele, della natura. Proprio grazie a questa libertà, l'Eterno Artefice, scriveva molti secoli fa Giovanni Pico della Mirandola, aveva messo l'Uomo "al centro del mondo", lasciandolo "libero e sovrano" di plasmare la propria forma, conferendogli il potere di degenerare abbassandosi sino ai più brutali tra gli esseri inferiori, oppure di innalzarsi fino alle vette più elevate degli "spiriti maggiori". E l'Uomo ha indubbiamente usato - e spesso abusato - di questa straordinaria prerogativa.